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Quando si attraversa il ponte che collega l’isola di La Maddalena a Caprera si intravede sulla sinistra, immersa nella macchia mediterranea, una casetta bianchissima in stile sudamericano e potrebbe sembrare decisamente pretenzioso l’appellativo di “Casa Bianca”, visto il contesto isolatissimo, selvaggio e roccioso e l’umiltà del piccolo fabbricato.Eppure proprio nel 1861 un rapporto epistolare legò la sede della Presidenza degli Stati Uniti alla piccola dimora bianca sullo scoglio di Caprera. Abramo Lincoln offriva a Garibaldi il comando delle forze dell’Unione contro quelle confederate. Il Generale pose come condizione che il Presidente si pronunciasse ufficialmente contro la schiavitù e a favore della concessione dei diritti civili agli afroamericani. Lincoln rifiutò la condizione e Garibaldi rifiutò l’incarico.Garibaldi conobbe casualmente Caprera nel periodo umanamente e militarmente più buio della sua vita. Dopo il fallimento della Repubblica Romana e dopo la perdita della amatissima Anita, venne esiliato a Tunisi dove il Bey rifiutò di accoglierlo. Il maddalenino Francesco Millelire che comandava la nave che trasportava il generale ricevette allora l’ordine di sbarcarlo a La Maddalena fino a nuovi ordini. Anche il fedelissimo Maggiore ”Leggero”, Giovanni Battista Culiolo, il solo che non lo aveva mai abbandonato e presente alla morte di Anita, era nativo dell’isola e il 25 settembre 1849 tutti gli isolani attendevano in festa a Cala Gavetta i due eroici conterranei. Nel mese di permanenza nell’arcipelago Garibaldi ospite a Moneta della famiglia Susini, si innamorò di questi luoghi e si legò profondamente agli abitanti. Lo attendevano tristemente l’esilio a Tangeri e poi gli anni newyorkesi.
Il 30 luglio 1850 Garibaldi sbarcò dalla nave Waterloo a New York, dove moltissimi esuli italiani lo attendevano sventolando bandiere stelle e strisce e tricolori. Tra questi Antonio Meucci, futuro inventore del telefono, che divenne grande amico dell’eroe e che con lui impiantò un opificio prima di salsicce e poi di candele a Staten Island. In questo periodo fece numerosi viaggi in Cina, Australia e Perù. Garibaldi tornò dagli Stati Uniti nel 1854.
Ritornato a La Maddalena, Garibaldi si innamorò del lungo “scoglio”, stretto, aspro e roccioso e, con l’aiuto dei vecchi amici isolani, acquistò dal pastore corso Ferracciolo e dai coniugi Collins alcuni appezzamenti dell’isola.
Garibaldi desiderava soltanto riunirsi ai figli Menotti, Teresita e Ricciotti ospiti a Nizza nella casa natale di Peppino e con loro realizzare il sogno di una famiglia. Bivaccò per due mesi con il primogenito Menotti e diede inizio alla ristrutturazione di alcuni fabbricati pastorali preesistenti e, finalmente nel 1856, riuscì a trasferire anche i due figli più piccoli e della governante Battistina Ravello. Lentamente nasceva sul versante occidentale di Caprera, quel fabbricato che tutti i numerosi membri del Clan Garibaldi, figli, compagne, amici e compagni d’arme, cominciarono a chiamare “la Casa Bianca”. Nei pressi della Casa Bianca un capanno in legno, rivestito in lamiera zincata e giunto smontato da Nizza, fungeva da alloggio per gli ospiti. Dopo il 1861 furono costruiti la stalla, i canili, i magazzini, l’abbeveratoio, il grande forno per il pane e lo splendido mulino a vento, che purtroppo perse quasi subito le pale per il forte vento di maestrale e venne sostituito da un mulino a frantoio. Tutti i fabbricati vennero costruiti con blocchi di granito locale e rivestiti internamente ed esternamente con calce bianca. Tutto l’insediamento andava progressivamente cintato con alti muretti per tenere lontane le fameliche e sfrontate capre selvatiche dell’isola.
Finì così la vita del Garibaldi marinaio ed iniziò quella del Garibaldi agricoltore. Tutto il clan iniziò fin da subito a bonificare e rimuovere montagne di macigni di granito per recuperare piccoli appezzamenti coltivabili. Dagli ammiratori arrivavano da tutto il mondo le sementi più strane e ricercate. Il Generale annotava umilmente e scrupolosamente tutto sui suoi famosi Quaderni Agricoli.
Il generale lavorava instancabilmente dall’alba al tramonto interrompendo la fatica soltanto con un pasto frugale a base di pane, pomodori e cacio e minestrone ligure la sera, per tutta la vita fu totalmente astemio. Rimase ghiotto delle gallette con uva passa che venivano distribuite ai marinai e grande bevitore di Mate, che lo accompagnava fin dai tempi di Rio Grande nel suo caratteristico bicchiere con cannuccia. Immancabili i sigari che amava.
Ospite di Garibaldi nel 1864, l’anarchico Bakunin rimase affascinato dallo stile di vita cameratesco e spartano dei tanti amici che collaboravano con il loro Generale definendo Caprera “una vera repubblica democratica e sociale”. Tutti lavoratori cotti dal sole con ampie giacche di tela e camicie rosse che cantavano e lavoravano in fraternità.
Nelle rare pause si sdraiavano sui tafoni e discorrevano di politica. In mezzo a loro, mai abbronzato perché di carnagione chiara, stava sempre Garibaldi, con il suo storico paio di blue jeans rattoppato. Colui che quattro anni prima aveva donato a Vittorio Emanuele II il Regno delle Due Sicilie, ora seminava aranci, limoni, fichi, viti, mandorli, fagioli, fave e, nei rari spazi ampi, il grano per quel pane che Garibaldi tanto amava, “Pane” come il suo primo nome di battaglia.
Egli si godeva la compagnia dei suoi quattro cani, Aspromonte, Bixio, Foin e Tho dei suoi tre cavalli, Marsala, Mentana e Borbone e dei suoi quattro asini, Pio IX, Napoleone Terzo, Oudinot ed Immacolata Concezione. Il rispetto della natura e l’amore per gli esseri viventi portarono Giuseppe Garibaldi a fondare il 1° aprile 1871 la prima “Società contro il maltrattamento degli animali” con sede a Torino.
Dal 1865 fu dominante alla Casa Bianca la figura dell’astigiana Francesca Armosino, donna per nulla attraente ma intelligente, pratica, e con l’energia necessaria ad assistere il Generale consumato dall’artrite e a tenere a bada la moltitudine di parenti e amici dei lui, tutti ugualmente disordinati e con caratteri molto bellicosi e difficili. Francesca sposò Garibaldi soltanto nel 1880, due anni prima che egli morisse, ma intanto aveva già avuto da lui tre figli, Rosa, morta a 18 mesi, Manlio e Clelia, che vivrà da sola nella Casa Bianca fino al 1959.
Nei ventisei anni che Garibaldi passò a Caprera come agricoltore ed allevatore si curò di non alterare la natura dell’isola se non introducendo un gran numero di pini ad alto fusto per ombreggiare e uno di essi, piantato in occasione della nascita di Clelia, occupa oggi l’intero cortile della casa. Sfinito dalla malattia che lo aveva tormentato per decenni, il due giugno 1882, Garibaldi riposava nel suo studio trasformato in stanza da letto, vennero a posarsi sul balcone due capinere che cinguettavano con decisione. Francesca voleva cacciarle perché non disturbassero gli ultimi momenti del Generale. Egli la fermò dicendole che erano senz’altro le sue due bimbe che venivano a salutare un’ultima volta il loro papà e pregò la moglie di dar loro sempre da mangiare e di proteggerle ora che egli non sarebbe più stato in grado di farlo.
In quel giorno Garibaldi morì e il primogenito Menotti, che adorava e conosceva il padre più di ogni altro fermò le lancette dell’orologio alle 18:22.
Il testamento in cui il Generale chiedeva di essere cremato e che le sue ceneri fossero disperse sulla sua amata isola non venne rispettato ed il suo corpo, imbalsamato, rimane ancora oggi sepolto in una splendida e grezza tomba di granito locale. Per cento anni, fino al 1982, la tomba dell’eroe è stata costantemente presidiata dal picchetto d’onore della Marina Militare Italiana.
Proprio da quell’anno, con la stipula della Triplice Alleanza, il regno d’Italia inizio a fortificare le isole, militarmente strategiche, in funzione antifrancese, con un gran numero di opere di artiglieria da costa, fortificazioni e casermaggi che cambiarono il volto della Caprera garibaldina.
La Casa Bianca divenne Museo nel 1978 e consente oggi ai visitatori di assaporare le piccole cose come gli attrezzi di lavoro e da cucina, le carrozzelle su cui, ormai immobile, passava le giornate a scrivere o a guardare il mare e cimeli di eccezionale valore storico come lo stendardo della Legione Italiana degli anni sudamericani, il poncho, le camicie rosse, i berretti e le armi che anno accompagnato Garibaldi nelle sue campagne. In ogni angolo, sotto ogni pino di Aleppo, vicino ad ogni tafone, in ogni spiaggia e nel costante vento dell’isola si sente forte la sua presenza ed il suo amore per la vita e per la Patria.
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