
Albenga è una città medievale di grande valore culturale. Ecco tutte le info per una vacanza all’insegna di cultura e relax.
Con la fine della minaccia napoleonica nel 1815, il baluardo antifrancese iniziò il suo declino, ma l’adesione alla Triplice Alleanza nel 1882 lo riportò in auge.
Nel 1887, in pochi anni, l’arcipelago divenne una temibile piazzaforte rispondente alle più moderne concezioni europee in tema di difesa. L’individuazione di questa zona come base marittima fortificata dipese da tre fattori: la raggiunta Unità d’Italia, che poneva in modo nuovo il problema della difesa del territorio, la situazione internazionale, che aveva portato alla nascita di due blocchi di alleanze in Europa, il progresso raggiunto nelle concezioni difensive, sia nelle strutture murarie, sia nella tecnica degli armamenti. Dal 1830 al 1890, infatti, il progresso continuo nel campo delle artiglierie e dei mezzi di attacco si ripercosse sui sistemi di difesa, che dovettero abbandonare i vecchi schemi di cinte bastionate e adattarsi alle mutate tecniche difensive.
Le piazzeforti dell’isola dovevano infatti soddisfare le seguenti condizioni:
– permettere alla flotta di uscire attraverso una delle due imboccature e dominare il passaggio delle Bocche di Bonifacio;
– mettere al sicuro le navi;
– impedire che il nemico, in assenza della flotta, prendesse possesso del bacino interno e vi si stabilisse;
– permettere di sistemare, in ogni batteria costiera, mine e dighe di sbarramento dei canali navigabili.
Scopriamo gli itinerari per ammirare i fortini del Novecento dell’arcipelago.
I fortini del Novecento furono costruiti a partire dai primi decenni del Novecento, quando il progresso tecnico della neonata aviazione militare rese indispensabile la creazione di un sistema difensivo contro i bombardamenti aerei.
Le costruzioni furono edificate in cemento armato e ricoperte da massi di granito con funzione mimetica. Anche tutti i baraccamenti furono addossati a formazioni rocciose e ricoperti da rocce per ricostruire la morfologia del terreno circostante. Per quanto riguarda la difesa attiva, queste fortificazioni videro comparire numerose postazioni di artiglieria contraerea affiancate a quelle tradizionali di artiglieria navale. Questo tipo di fortificazione perdurò e si specializzò fino alla fine del secondo conflitto mondiale. L’esempio più significativo di queste fortificazioni ci è fornito dal Forte Candeo sull’isola di Caprera, che fu un’importante base antinave armata nella Seconda Guerra mondiale. Le sue costruzioni in cemento armato sono interamente mascherate con massi irregolari di granito locale che le mimetizzano perfettamente nell’ambiente circostante. Una galleria a chiocciola con piccole feritoie sul Tirreno, conduce fino alla piattaforma che ospitava le mitragliere.
A Santo Stefano, è l’ultimo tra i fortini del Novecento, costruito durante la Seconda Guerra Mondiale. La strada militare conduce anche alla vecchia cava, dove giace il monumentale busto di granito dedicato a Costanzo Ciano, scolpito da Arturo Dazzi, uno dei più noti scultori italiani del Novecento. Quando nel 1939 morì il padre di Galeazzo Ciano, consuocero di Mussolini e pluridecorato per le sue famose imprese durante la Prima Guerra Mondiale, il Governo finanziò la costruzione di un mausoleo a lui dedicato a Livorno, sua città natale.
Dazzi ricevette l’incarico dell’esecuzione dell’opera e scelse per la realizzazione il granito della cava di Santo Stefano. I lavori in cava proseguirono senza sosta per due anni.
La statua doveva essere completata nella sua interezza per un’altezza di 13 metri, per poi essere trasportata a Livorno nel mausoleo, ma i lavori si interruppero a causa dello scoppio della guerra.
Oggi, arrivando alla cava abbandonata, risalta in mezzo alla vegetazione il busto di Ciano.
Dopo settant’anni, l’opera di Dazzi dovrebbe essere ammirata come monumento dedicato a tutti i marinai d’Italia.
Questo potrebbe permettere tanto la realizzazione di un itinerario che conduce alla fortificazione, quanto di un’opera di valore artistico e commemorativo di tutti i marinai morti in mare.
Costituisce il primo caso di recupero di una struttura militare con destinazione culturale e turistica. L’ex forte è stato restaurato nel 2012, è costato 5 milioni di euro e oggi ospita al suo interno un museo multimediale con percorsi interattivi dedicati alla vita e alle imprese di Garibaldi ed una sezione espositiva con reperti garibaldini e i plastici delle principali battaglie.
Anche se non si tratta di una fortificazione, merita assolutamente che il nostro itinerario comprenda le cave di granito di Cala Francese che ha fornito il materiale per la edificazione di tutte le opere militari.
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Prende il nome dalla cava di granito dove fin dal 1874 estraevano e si lavoravano enormi blocchi da inviare a Genova.
Grazie al rapporto che aveva con il Genio Militare nelle forniture destinate alle opere di difesa attrasse un massiccio flusso di scalpellini, muratori, fabbri e carpentieri dal Piemonte, dalla Lombardia, dall’Emilia e dalla Toscana.
Le maggiori realizzazioni portate a termine con l’impiego del granito estratto a La Maddalena sono: il bacino di carenaggio di Malta, commissionato dalla Marina britannica nel 1905, quello di Venezia, nel 1912, quello di Taranto, nel 1911, il Porto di Alessandria d’Egitto, di Tripoli, di Port Said e di Genova.
La cava arrivò ad ospitare 500 operai e venne formandosi una comunità autosufficiente che si integrò con quella isolana.
La cava restò in attività fino al 1965.
È oggi possibile visitare l’intera area estrattiva, il borgo dove vivevano gli scalpellini, il porto dove approdavano i velieri e i piroscafi, il binario con il trenino della cava e tutti i macchinari per il taglio, il sollevamento e la lavorazione della roccia.
Il “museo-hangar” ospita, macchinari, fotografie, documenti ed una sala proiezioni di immagini storiche.
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